Risarcimenti in Italia – differenze fra Nord e Sud

 

Il risarcimento dei danni da lesioni alla persona “dovrebbe” essere uguale in tutto lo stivale, isole comprese.

 

In questa parola, “dovrebbe”, si concentra il succo di questo mio nuovo articolo, e che condivido con voi per capire se le anomalie che ho riscontrato riguardano poche realtà oppure se si tratta di qualcosa di più profondo e radicato.

 

Poichè l’attività che conduco infatti, mi porta a seguire casi non solo in Lombardia ove ha sede il mio Studio, ma anche in altre regioni tra cui quelle del sud d’Italia e, soprattutto in Sicilia, andrò in sostanza a parlare degli insuccessi da me accusati in questa precisa realtà territoriale.

 

Porterò pertanto a vostra conoscenza fatti concreti e reali da me seguiti negli ultimi anni in Sicilia (che è anche la mia adorata terra nativa), per fornire ai lettori interessati gli elementi per valutare se le storture da me rilevate, comportano effettivamente o meno disparità tra nord e sud.

 

Preciso subito che nella definizione stragiudiziale delle varie pratiche inerenti la materia della responsabilità civile automobilistica (gli incidenti stradali per intenderci), non ho riscontrato sostanziali differenze nel risarcimento rispetto al nord Italia, se non nelle tempistiche più lunghe. Per quanto riguarda invece i casi che necessitano di Giudizio, non è certo una novità il problema che affligge il mezzogiorno circa la ragionevole durata del processo, ed è cosa risaputa oramai da tutti. I fatti pertanto che andrò qui di seguito a rappresentare sono riferiti agli infortuni sul lavoro e alle responsabilità mediche.

 

Il primo caso riguarda appunto un grave infortunio sul lavoro subito da un mio cliente, dipendente di una società per azioni Siciliana operante nel settore delle costruzioni di grandi manufatti idroelettrici, con varie ramificazioni tra cui movimentazione terra, settore strade ecc. ecc.

La richiesta di definizione stragiudiziale da me avanzata, fu respinta dall’azienda in quanto non riteneva imputabile ad essa alcuna responsabilità nella produzione dell’evento. Si rese pertanto necessario l’intervento dell’ufficio legale mio partners per l’ottenimento del titolo ( la sentenza) che ne riconoscesse il risarcimento. Nel giro di soli due anni dall’inizio del processo (il rito del lavoro ha priorità diverse e tempistiche più favorevoli rispetto al giudizio ordinario) Il Giudice istruttore del Tribunale civile di Patti, sezione lavoro, ritenne fondate le violazioni alle norme contro gli infortuni sul lavoro da noi rilevate nei confronti del datore di lavoro, ed emise sentenza favorevole al mio cliente riconoscendogli una ingente somma di denaro. Scoprimmo poco dopo che l’azienda, non solo non era assicurata per la R.C.O. (responsabilità civile verso gli operai), ma aveva debiti assai rilevanti verso altri creditori. In estrema sintesi non ci rimase altra possibilità se non quella di accodarci agli altri creditori che già avevano presentato domanda di revocatoria, sapendo che le possibilità di riuscire a recuperare qualcosa sarebbero state ardue. E’ questa è stata la prima cocente sconfitta in terra di Sicilia. L’apprendere che una grande S.p.a. non fosse assicurata per la R.C. verso i propri dipendenti (da non confondere con l’assicurazione obbligatoria Inail che intervenne regolarmente), mi fece accendere il primo campanello d’allarme. Mai era accaduto infatti nei tanti casi di infortuni sul lavoro da me seguiti in Lombardia, e nelle altre regioni del nord, che una azienda, men che meno una S.p.a., non fosse in possesso di tale copertura assicurativa.

 

Il secondo caso riguarda un altro grave infortunio sul lavoro verificatosi durante i lavori di raddoppio della strada statale 640 Caltanissetta-Agrigento, durante la posa del viadotto “gasena” (successivamente intitolato al magistrato eroe Rosario Livatino). In questo caso la società appaltatrice dei lavori, una S.P.A. con sede a Napoli, era regolarmente assicurata. L’anomalia questa volta fu rappresentata dal rapporto dell’organo preposto ad accertare la dinamica dell’evento. Tale rapporto infatti si caratterizzava dalla sola contestazione a carico dell’infortunato stesso, a cui gli era stato imputato il mancato uso dei DPI (dispositivi di protezione individuali), nello specifico le cinture di trattenuta. Peccato che l’infortunio avvenne per caduta dell’operaio dal pilone alto 18 mt da terra, e nel cantiere non era stata installata la linea vita (cavo d’acciaio in tensione obbligatorio per lavori in sospensione ove gli operai devono potersi ancorare con le proprie cinture e rimanere agganciati in caso di cadute accidentali). La mancata contestazione a carico dell’azienda di tale grave violazione ci lasciò a dir poco perplessi. Grazie alle garanzie del nostro sistema giuridico, tale “superficialità” degli inquirenti, non ci destò particolare preoccupazione, in quanto poteva essere agevolmente superata con la prova per testi nel giudizio che è stato successivamente proposto dallo Studio Legale mio partners. A tutt’oggi non sono ancora in grado di riferirvi l’esito finale di questo caso in quanto, grazie (o per meglio dire per colpa) delle assurde lentezze giudiziali del sud, siamo ancora in attesa della sentenza. Caso ulteriormente complicatosi dalla messa in liquidazione amministrata dell’azienda. Sono tuttavia convinto che, qualora il medesimo fatto si fosse verificato in una regione del nord Italia, a quest’ora sarebbe già stato definito da tempo.

 

Potrei andare avanti a scrivere di altri casi simili per ore, pertanto mi fermerò a questi due fatti concreti e reali che valgono per tutti. Per onor del vero va detto che diverse sono state le pratiche definite in modo positivo per i danneggiati anche in Sicilia . Tra queste però pochissime chiuse in fase stragiudiziale, cioè senza bisogno di ricorrere al Giudizio. Facendo anche qui il paragone con il nord, posso sicuramente testimoniare che i valori in termini percentuali praticamente si invertono. Infatti, se i casi definiti senza necessità di giudizio al nord rappresentano la stragrande maggioranza, diciamo un 90% circa, la stessa approssimativa percentuale è rappresentata dai casi che al sud Italia, al contrario, obbliga i danneggiati ad agire in Giudizio.

 

Passando alla materia della responsabilità medica, qui la questione si fa ancora più delicata, e dovrò stare molto attento a ciò che scrivo per evitare di prestare il fianco ai soggetti coinvolti. I quali, sapendo di non aver lasciato dietro di se prove tangibili, potrebbero avanzare facili denunce nei mie confronti, e non è certo mia intenzione fornirgli l’assist perfetto per farli passare da carnefici a vittime. Il primo riguarda un intervento chirurgico a cui si è sottoposta una mia cliente in uno dei tanti Ospedali pubblici della Sicilia. L’intervento in questione, anziché portare i benefici auspicati, comportò un grave danno iatrogeno (per i non addetti ai lavori, tale termine “iatrogeno” rappresenta il pregiudizio alla salute quale conseguenza diretta di una pratica medica eseguita in modo non corretto o sbagliato). Danno rilevato dai consulenti medico-legali incaricati di valutare il caso per conto della parte lesa. La mia solita richiesta danni avanzata in via stragiudiziale, nemmeno a dirlo, fu respinta dall’Azienda Sanitaria in questione, con la motivazione che l’operato del loro neurochirurgo era esente da colpe. La prima anomalia riscontrata fu nell’attivazione dell’ATP (accertamento tecnico preventivo), procedura ai tempi non obbligatoria introdotta per snellire e velocizzare i procedimenti di responsabilità medica. Infatti, il Giudice incaricato respinse tale procedura invitando la parte a proporre il Giudizio ordinario. Si persero cosi anni e dispendio di risorse inutili per arrivare in sostanza alla stessa valenza probatoria. Che sia ben chiaro, la critica in questo caso non è rivolta verso il giudice istruttore che non ha commesso alcun errore, trattandosi di procedura all’epoca facoltativa. Poi divenuta obbligatoria con la legge n.24/2017 più conosciuta come riforma Gelli. La critica riguardò piuttosto la successiva fase di nomina del CTU (consulente tecnico d’ufficio), nello specifico l’incarico di un consulente medico legale super partes che doveva decidere sulla fondatezza o meno della domanda. Come prassi il legale mio partners chiese che tale consulente venisse nominato fuori dalla sede coinvolta, ma tale richiesta fu respinta e venne nominato invece un medico appartenente allo stesso distretto provinciale di competenza della Azienda Sanitaria che si riteneva responsabile. Ora la domanda che vi rivolgo è: può un medico che ha inevitabili rapporti professionali quotidiani nell’ambito della propria attività, rilasciare un parere neutrale sull’operato di un suo collega e dei suoi stessi dirigenti senza subire condizionamenti o pressioni? A voi le considerazioni. Sta di fatto che, guarda caso, tale parere concludeva a favore dell’Azienda Sanitaria. A tutt’oggi, fine novembre 2020, non sono in grado di dirvi come si è concluso il caso in esame in quanto non è ancora stata emessa sentenza.

Tuttavia, considerate le conclusioni della ctu, l’esito è facilmente pronosticabile. E’ bene sapere che nelle more del processo, è stato introdotto nel nostro ordinamento in materia di responsabilità medica, l’obbligatorietà che il collegio medico giudicante sia scelto al di fuori della provincia, meglio ancora della regione, in cui ha sede l’Ospedale o l’azienda Sanitaria interessati ( il legislatore si è accorto evidentemente che il buon senso nella scelta del ctu non era rispettato da tutti). Pertanto, Sulla base di tale principio, siamo comunque fiduciosi che, nel caso di sentenza sfavorevole di primo grado, vi siano buone possibilità in Appello di ottenere una nuova e reale perizia “super partes.” Mi preme precisare che il sottoscritto ha un’alta considerazione dei medici e degli operatori sanitari in generale, soprattutto nell’eroica missione che li vede impegnati nella lotta contro l’attuale pandemia. I medici ci salvano la vita, e li ringrazio pubblicamente per questo. Poi, come accade ad ognuno di noi e ad ogni essere umano, l’errore può succedere ed è inevitabile quando si parla di centinaia di migliaia di pratiche mediche eseguite ogni anno nel nostro paese. Ma altrettanto forte è la critica verso quei pochi che, venendo meno al loro stesso giuramento, quello di Ippocrate, anziché eseguire per esempio, una perizia medico legale in scienza e coscienza, lo fanno lasciandosi condizionare e cedendo alle pressioni altrui. Danneggiano cosi, in modo imperdonabile, la povera incolpevole vittima di turno.

 

Poiché gli altri casi di responsabilità medica con danni gravi e che coinvolgono differenti Ospedali pubblici delle varie province siciliane, comportano dinamiche simili e, in alcuni casi, sovrapponibili, eviterò di ripetermi inutilmente, anche per non appesantire in maniera eccessiva la lettura già inevitabilmente lunga (forse un giorno, quando sarò in pensione, scriverò un libro dettagliando ogni singolo caso e chissà magari, se il coraggio mi sosterrà, facendo anche nomi e cognomi.

 

A questo punto, dopo aver sollevato questo tema sociale che ho condiviso con voi cari e pazienti lettori, vi lascio ognuno alle vostre considerazioni e conclusioni. La mia non lascia adito a nessun dubbio, la disparità nei risarcimenti fra Nord e Sud c’è ed è marcata. Non solo nella insopportabile lentezza del sistema giudiziario del mezzogiorno, ma soprattutto per le altre ragioni fin qui testimoniate. E viene da chiedermi per quanto tempo ancora i miei paesani debbono ancora sopportare queste ingiustizie e disparità.

 

Dopo tanta tristezza vorrei lasciarvi con un messaggio di speranza. Sono convinto infatti che questo mal costume verrà presto spazzato via, e a farlo saranno i giovani e le nuove generazioni che si stanno distinguendo per le loro capacità innovative, tutte rivolte a migliorare la qualità della vita e ad esaltare le risorse che questa meravigliosa terra mette loro a disposizione.

 

C’è un sogno che ricorre spesso nelle mie notti lombarde (evidentemente evocato dai tanti viaggi che faccio per lavoro in Sicilia), il momento in cui atterro a Catania o a Palermo. Nel sogno ci sono io che scendo la scala dell’aereo e vengo investito dall’aria calda e profumata della mia terra nativa, solo due ore prima a Malpensa rabbrividivo nel freddo e nella nebbia.

 

Ecco quando questo sogno, in un tempo lontano si sarà completato, e scendendo con il bastone la stessa scala dell’aereo che mi riporta per l’ennesima volta nella mia amata isola, magari per vivere gli ultimi scorci di vita la dove è per me iniziata, assaporando quelle stesse belle sensazioni già tante volte vissute, i miei occhi scopriranno che anche tutto il resto sarà realmente cambiato. Allora potrò dire di aver messo piede non solo nella mia bella Sicilia, ma di essere approdato in quella terra promessa citata da Eros nella sua bella canzone

 

Il patrocinatore Giuseppe Mantese